Roma. Un chilometro e settecento metri. E’ la lunghezza che separa Piazza Venezia da Piazza del Popolo. Quante librerie ci sono in questo tragitto o nei paraggi? Due. Milano. Un chilometro e cinquecento metri. E’ la lunghezza che separa Piazza San Babila da Largo Cairoli. Quante librerie ci sono in questo tragitto o nei paraggi? Dieci. Torino. Un chilometro e cento metri. E’ la lunghezza che separa Piazza Carlo Felice da Piazza Castello. Quante librerie ci sono in questo tragitto o nei paraggi? Quattordici. Si obietterà: ma il centro di Roma è molto più grande, almeno il triplo di Milano e Torino. Sì, è vero. Ma se allarghiamo lo sguardo a tutto il centro storico della Capitale, le librerie che hanno chiuso in questi anni sono molte di più di quelle rimaste. A Milano alcune di quelle storiche sono state ristrutturate (Rizzoli, Feltrinelli) e ne sono arrivate di nuove (come Open, 1.000 metri quadri dove poter leggere, studiare e navigare gratuitamente, con servizio di ristorazione). Pochi giorni fa, a Brera, ha aperto Laboratorio Formentini, uno spazio messo a disposizione dal Comune per promuovere l’editoria libraria. Inoltre resiste a due passi dal Duomo la manifestazione ‘Vecchi libri in piazza’, che richiama una domenica al mese migliaia di appassionati di libri antichi, rari e fuori catalogo.
A Roma le librerie continuano a morire nell’indifferenza delle istituzioni. Pochi giorni fa ha chiuso uno dei luoghi più amati dai cittadini: Palazzo Incontro, in via dei Prefetti. Uno spazio polifunzionale che comprendeva la libreria Fandango, la caffetteria con sala per il brunch e il museo dedicato alle mostre di fotografia e fumetti. L’edificio è tornato in mano a Bnp Paribas, la banca che gestisce il fondo in cui sono confluiti gli immobili della Provincia di Roma. Comune e Regione sono intervenute? No. Il mantra è sempre lo stesso: “mancano i soldi”. Piccole o grandi, tutte non hanno avuto scampo: Amore e Psiche, Bibli, Croce, Flexi, Herder, Red Feltrinelli, Feltrinelli di via del Babuino, Messaggerie, Mondadori Trevi, Remainders, Arion Veneto, Giunti a piazza Santi Apostoli. I numeri sono impietosi: cinquanta chiusure negli ultimi quattro anni; oltre cento in dieci anni. Il Comune di Roma è stato uno spettatore complice, anche nel caso di ‘Pagine romane’, la fiera del libro usato e d’occasione andata in scena per due domeniche nel 2013 all’Esquilino e poi chiusa per sempre.
A Roma si mangia, non si legge. Lo stesso trattamento è stato riservato alle botteghe storiche, se consideriamo che ad esempio via dei Coronari, un tempo regno degli antiquari, conta oggi 72 locali su 120 di ristorazione. Le gelaterie, i fast food, i negozi di strada aumentano a dismisura. Ma Roma ha una peculiarità: è una città che partecipa. Quando si dà la possibilità ai romani di essere protagonisti della vita cittadina, la risposta è sempre positiva. Lo dimostrano i numeri del Festival delle Letterature a Massenzio (400 mila presenze dal 2002), della Fiera della piccola e media editoria (circa 55 mila presenze l’anno), di ‘Libri come’ (circa 30 mila presenze l’anno) e delle decine di manifestazioni più piccole che, con fatica, vengono organizzate in periferia.
Sarà quindi il Giubileo dei non lettori, ed è un peccato perchè le strutture ci sono. La Casa delle Letterature, a piazza dell’Orologio, è forse il luogo meno sfruttato della Capitale. Ogni tanto qualche presentazione, ogni tanto qualche mostra. Stop. Possibile? Un luogo così dovrebbe avere una programmazione quotidiana di alto livello, come avviene a Milano o a Torino con il Circolo dei Lettori, fatta anche di corsi, incontri con gli autori, gruppi di lettura, tecnologie, ristorazione. Le biblioteche sono lasciate ammuffire, a partire da quella Nazionale a Castro Pretorio che dispone di un anfiteatro all’aperto poco utilizzato. L’impressione è che manchi la volontà di aprirsi alle centinaia di realtà letterarie presenti nella Capitale, per mettere a disposizione degli spazi che i cittadini (e quest’anno anche i pellegrini) possano usufruire.
* L’articolo è stato pubblicato dall’agenzia Dire e fa parte di un’inchiesta divisa in due parti sullo stato culturale di Roma.
http://www.dire.it/25-09-2015/18156-e-realmente-possibile-oggi-parlare-bene-di-roma-2/
Dopo la prima parte dedicata alle librerie di Roma, l’analisi del panorama culturale della Capitale continua con i cinema, i teatri e i musei.
CINEMA
Sono 40 le sale cinematografiche che a Roma hanno chiuso negli ultimi dieci anni. Alcune sono state occupate o gestite da movimenti, altre sono state trasformate in sale Bingo, altre ancora sono rimaste abbadonate. Fa una certa impressione metterle in fila una dietro l’altra: Academy Hall, Airone, America, Apollo, Archimede, Astor, Astra, Aureo, Augustus, Avorio, Belsito, Capitol, Capranichetta, Cinestar Cassia, Delle Arti, Diamante, Embassy, Empire, Excelsior, Gioiello, Gregory, Holiday, Horus, Impero, Metropolitan, Missouri, New York, Palazzo, Paris, Piccolo Apollo, Preneste, Puccini, Quirinale, Rialto, Ritz, Rivoli, Roma, Sala Troisi, Tristar e Ulisse. Da quasi un anno esiste una memoria di Giunta comunale in cui sono riportate le linee guida per riconvertire le sale abbandonate prima del 2013 in centri polifunzionali (artigianato, co-working, librerie, ludoteche) ma anche case per gli studenti o appartamenti da vendere o uffici da affittare. La nuova amministrazione dovrà decidere se proseguire su questa strada o sceglierne un’altra.
TEATRI
Se le librerie e i cinema si sono dovuti piegare a chiusure di massa, i teatri hanno retto meglio l’onda d’urto della crisi. Finora, però. Perché il 2014 è stato il peggiore degli ultimi cinque anni per riduzione del numero di spettacoli e riduzione di introiti al botteghino. Dopo i casi eclatanti del Teatro Valle, del Teatro dell’Opera e dell’Eliseo, riaperto da poco da Luca Barbareschi, adesso a rischio sono i teatri privati, quelli con meno di 150 posti. Una situazione difficile, che rischia di aggravarsi visto che il fondo unico per lo spettacolo 2015-2018 è passato dallo 0,8% allo 0,2% del Pil. Per non parlare del confronto con le altre città. Basti pensare che il Comune di Milano stanzia 4,3 milioni di euro per il Piccolo, il Comune di Torino ne dà 4 al suo Stabile, il Comune di Roma si ferma a 2,7 milioni per il Teatro di Roma (Argentina e India). L’unica nota positiva riguarda la qualità dell’offerta, fino a qualche anno fa votata alla ripetizione di testi di autori classici (Pirandello, Goldoni, Shakespeare, etc.) ma soprattutto all’intrattenimento (commedie e cabaret). Roma sembrava essere stata colpita da una sorta di sindrome del Bagaglino. Oggi il panorama è più eterogeneo, con una varietà di proposte che contaminano la musica, la letteratura, l’arte; in generale si riscontra una maggiore attenzione a tutti i tipi di pubblico e questo, in una città che sembra non avere più a cuore la cultura, è senz’altro un merito.
MUSEI
Sui musei è necessario operare delle distinzioni. Ci sono quelli civici, una ventina in tutto, che nonostante le risorse scarse sono riusciti a risalire nelle presenze (+5,9% tra il 2013 e il 2014, ma il 2015 potrebbe terminare in leggero calo) e a proporre delle mostre in linea con i gusti del pubblico. La decisione di rendere gratuiti i musei ogni prima domenica del mese ha permesso un incremento del 94,1% in un anno, mentre le domeniche gratuite per i residenti a Roma e nella città metropolitana hanno portato 90 mila persone nei musei. Le migliori performance le hanno segnate i Musei Capitolini (470.823 presenze) e l’Ara Pacis (307.668). Anche il Macro è tornato a crescere dopo il clamoroso -52% registrato due anni fa, mentre il Museo di Roma in Trastevere, per la sua struttura, ha potenzialità superiori ai circa 30 mila biglietti che stacca ogni anno. Oltre ai musei civici, a Roma c’è poi il Polo Museale del Lazio (competente su 45 siti tra cui il Vittoriano, Castel Sant’Angelo e il Museo Andersen), il Palaexpo e le Scuderie del Quirinale in dotazione alla presidenza della Repubblica, e una sterminata galassia di fondazioni e gallerie private. In generale la qualità dell’offerta si è abbassata, le ‘grandi mostre’ sono sempre di meno (una volta a Roma c’erano le code, ora è sempre più raro vederle) e la tendenza è quella di andare sul sicuro riproponendo ciò che già ha riscosso successo (l’Impressionismo non manca mai). Osare di più non guasterebbe, il pubblico romano ha dimostrato da tempo di essere affezionato e di saper ripagare gli sforzi, quando ne vale la pena.