Alcune sere fa sono andato al teatro di Villa Torlonia per ascoltare Giancarlo Pontiggia. Avevo finito di leggere Il moto delle cose, la sua terza raccolta di poesie, ed ero entusiasta di poterlo ammirare dal vivo. Pontiggia era uno dei poeti scelti da Elio Pecora per il suo ciclo di otto incontri ‘Le ragioni della poesia’. Sul palco erano previste anche letture di Silvia Bre, Luca Baldoni e Luca Archibugi. Mentre camminavo lungo il sentiero che da via Spallanzani si inoltra nei giardini di Villa Torlonia, mi chiedevo se in platea avrei trovato il solito nugolo di critici e scrittori che a Roma si spostano da una presentazione all’altra. In realtà ne ero quasi certo. Invece i giovani, in coppia o soli, erano più dei soliti noti. Anzi, superavano gli over sessanta, che spesso rappresentano la maggioranza del pubblico. La serata è trascorsa piacevolmente, tra i poeti che declamavano i propri versi e gli intermezzi musicali di un giovane pianista.
Un paio di giorni dopo, in uno dei circoli letterari che a Roma cercano di sopperire alla mancanza di un luogo istituzionale capace di raccogliere le risorse letterarie della città, la stessa scena si è ripetuta per un dialogo sull’intelligenza della poesia tra Guido Mazzoni e Nanni Balestrini. Gli organizzatori si sono ritrovati a dover gestire una fila di persone che, non avendo prenotato e nonostante il vento freddo, attendevano di capire se sarebbero riusciti a entrare.
Infine giovedì scorso sono andato alla Fondazione Primoli per un incontro con Patrizia Cavalli. Anche in questo caso ad ascoltare il poeta (non scrivo la poetessa perché la Cavalli si è espressamente lamentata di questa definizione) c’erano trenta-quarantenni e, sorpresa, anche qualche ventenne. Così ho pensato: ma se questi incontri in giro per la città sono sempre affollati, se ci sono scuole di scrittura che organizzano corsi di poesia – e non soltanto di narrativa – se le letture pubbliche di poeti italiani del Novecento riscuotono successo (tutto esaurito per le due serate dedicate a Alda Merini allo Spazio Veneziano), se tutto questo accade, allora non è vero che non è più tempo di parlare di poesia, di scrivere poesia, di leggere poesia.
Che le vendite siano poche e le case editrici abbiano sensibilmente diminuito le pubblicazioni, è cosa nota, ma se oggi per poter dire che un romanzo è andato bene bastano mille copie vendute, allora questi ragionamenti contano poco. Conta che la poesia non smetta di essere nutrimento per l’anima dell’uomo. Conta il rapporto che si instaura tra chi scrive e chi legge, tra chi cerca la poesia per esprimere ragione e sentimento e chi, leggendo, percepisce un suono che lo fa vibrare; la parola che si trasforma in un diapason. La poesia è chiamare una certa cosa con il suo nome. E’ creare un’immagine, legata a un tempo passato, che attende di propagarsi nel mondo di qualcun altro.
Pochi versi, ma veri.
Valgano per te, come per me.
Che siano limpidi – per guardare il cielo
alto –
e severi, se così è il tuo animo.
(Giancarlo Pontiggia)
Quello che tu dici sono parole vere, perché la poesia come ben esprimi rappresenta ” il vero nutrimento”
I miei sinceri complimenti!
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Grazie molte!
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