Riporto qui il testo del risvolto di copertina:
Leggere l’intera produzione poetica di Sergio Corazzini, curata da Alessandro Melia, significa entrare in contatto con una delle grandi voci liriche del Novecento. Considerato uno dei massimi rappresentanti del crepuscolarismo, in Corazzini c’è anche un’inarrestabile necessità di esprimere la propria vicenda autobiografica. I suoi versi sono l’espressione di una creatura fragile e sensibile che si sente morire giorno dopo giorno, come dimostrano anche le prime poesie. «Il tono è dimesso e malinconico perché la malattia incombe e alla morte non si può sfuggire; non può sfuggire la carne, non può sfuggire l’anima e non possono sfuggire le piccole, tristi e rassegnate cose». Le poesie di Corazzini sono variazioni di morte capaci di illuminare la vita.
L’AUTORE
Sergio Corazzini nacque a Roma il 6 febbraio 1886 e morì di tubercolosi, a soli ventuno anni, il 17 giugno 1907. Studiò per alcuni anni in un collegio di Spoleto insieme con il fratello Gualtiero. Tornato a Roma, a causa delle difficoltà finanziarie del padre, fu costretto a mettere da parte i libri e a trovare impiego in una compagnia di assicurazioni. Intorno a lui si costituì un gruppo di intellettuali romani legati dalla passione per la poesia. La produzione di Sergio Corazzini, in termini di raccolte, è racchiusa in appena tre anni: Dolcezze (1904), L’amaro calice (1905), Le aureole (1905), Piccolo libro inutile (1906), Elegia (1906) e Libro per la sera della domenica (1906). In questo breve lasso di tempo i sintomi della malattia divennero sempre più violenti. Dopo un soggiorno a Nocera, tentò di ristabilirsi in un sanatorio di Nettuno, ma pochi mesi dopo morì. Venne sepolto nel cimitero del Verano di Roma.