Un faro rosso

 

1.

Vidi mio fratello dal terrazzo. Si stava facendo spalmare la crema solare da una donna. La spiaggia era quasi vuota, nonostante la giornata calda. Sul mare piatto si rifrangeva la luce del sole mentre il bagnino sotto l’ombrellone teneva le braccia incrociate. Cercai di capire chi fosse la donna, non mi sembrava di conoscerla, ma ero troppo distante. Tornai in casa, mi tolsi la maglietta, presi un paio di vecchie ciabatte, mi bagnai la testa, misi in tasca il mio mazzo di chiavi e scesi. All’entrata dello stabilimento feci un cenno di saluto al proprietario e mi diressi verso la riva. Mio fratello era sdraiato su un lettino mentre la donna gli stava massaggiando la schiena. Indossava un bikini nero, la pancia era piatta, si intravedevano gli addominali. Notai come le unghie delle mani fossero colorate di un verde smeraldo.

“Ciao Enrico”, dissi.
“E tu che ci fai qui?”
“Oggi è il mio turno.”
“Ti sbagli. Questa domenica tocca a me”, disse, tirandosi su con
il corpo.
“E la settimana scorsa pure?”
“Era un mese che non venivo.”
“Ho bisogno di riposarmi”, dissi.
“Bene, prenditi un lettino e rilassati. Ma la casa mi serve, non
lo vedi?”
La donna mi guardò. Adesso era passata a massaggiare le cosce. Girai la testa e osservai il faro che si vedeva in lontananza. Avevo programmato mezz’ora di camminata per arrivarci. Poi avrei fatto una nuotata e il pomeriggio sarei rimasto in casa a dormire. Ora avrei dovuto cambiare i miei piani.
In quell’istante mi suonò il cellulare. Era Sara, la moglie di mio fratello. Disse che aveva le contrazioni e che non riusciva a parlare con Enrico. Disse che così aveva chiamato un’ambulanza che sarebbe arrivata a breve. Disse di cercare quel bastardo di mio fratello, che spariva sempre nei momenti più importanti. Disse che l’avrebbe richiamato appena avesse saputo in quale ospedale la ricoveravano.

2.

“Non ci posso credere. Riesce a rompere pure oggi che non lavoro.”
“Ha le contrazioni”, dissi.
“Non la conosci. Sara si lamenta e basta. Le piace fare la vittima.”
“Chiamala subito o vado da lei.”
“Così le dici pure che sto con una prostituta?”
La donna non disse una parola.
“Forza, chiamala”, dissi.
Enrico allungò la mano dentro lo zaino e prese il cellulare. Quindi si girò verso la donna portandosi l’indice al naso. Io guardai di nuovo il faro. Era bianco e rosso. Non ricordavo il rosso. Il bianco c’era sempre stato. Quello sì. Ma il rosso, doveva essere una novità. O forse non ci avevo mai fatto caso. Mi chiesi quand’era stata l’ultima volta che avevo guardato quel faro. In effetti era passato molto tempo. Un faro rosso.                                                                                                                                     “Va bene, arrivo.”

Enrico si alzò dal lettino. La donna restò seduta.
“Dove la stanno portando?”, chiesi.
“Al San Pietro. Il bambino potrebbe nascere a momenti.”
“Allora vengo anch’io.”
“No, ora resti qui. Volevi riposarti? E poi sei in buona compagnia. Lei si chiama Irina. Parla poco l’italiano ma capisce tutto. Le ho dato cinquecento euro.”
“Non è un problema mio”, dissi.
“Sì che lo è. Hai voluto che me ne andassi e ora qualcuno dovrà riportarla in città. E poi smettila di fare tante storie che ti può fare solo bene.”
Enrico raccolse lo zaino e prese Irina per un braccio.
“Mi raccomando, trattamelo bene.”
La donna fece un rumore secco con la bocca.
Non dissi nulla. Guardai mio fratello infilarsi la maglietta, raccogliere le scarpe e imboccare il vialetto verso l’uscita.

3.

“Cosa vuoi fare?”, mi chiese la donna.
L’idea di camminare con lei mi irritava.
“Facciamo un bagno e andiamo a casa”, dissi.
L’acqua del mare era fredda. La donna con veloci bracciate si allontanò dalla riva. Sembrava saper nuotare molto bene. In poco tempo raggiunse la boa che delimitava l’accesso delle imbarcazioni alla spiaggia. Nuotava un po’ a dorso e un po’ a rana. Restai a guardarla in un punto dove si toccava. Quando si avvicinò mi chiese se fossi sposato. Dissi di no.
“Hai una compagna?”
“No.”
“Tuo fratello avrà un figlio?”
“Sì. Andiamo via.”

La presenza di una prostituta nella casa in cui una volta abitavano mio padre e mia madre mi infastidiva. Cercai di non pensarci e andai in cucina per preparare qualcosa da mangiare. Il frigo era vuoto.                                            “Nella credenza c’è del tonno”, disse lei.                                                                        “E tu come lo sai?”                                                                                                                  “Sono già stata qui.”                                                                                                            Mi portai una mano alla bocca come per trattenere le parole. Andai verso la porta ma la donna mi sbarrò la strada. Fece scivolare lentamente la sua mano lungo il mio corpo. Sentii quelle unghie color smeraldo sfiorarmi la pelle. Fui scosso da un brivido. Provai a staccarmi, ma la donna mi strinse ancora più forte. La sua lingua iniziò a percorrermi il collo. Stava succedendo veramente.

4.

Solo molte ore dopo, mentre la donna si stava facendo la doccia, riuscii di nuovo a formulare dei pensieri. Restai sdraiato ad assaporarli uno ad uno. Prima di tutto mi sembrò di aver partecipato a qualcosa di cui tutti parlavano. Era molto diverso dall’idea che mi ero fatto in tutti quegli anni. In termini di piacere fisico, quello fu il punto più alto. Ero libero dalle tensioni e dai cerimoniali. Mi sentivo come un estraneo. Poi mi venne in mente mio fratello. Tradire Sara con una prostituta era una cosa da disprezzare,  ma ora che avevo provato anch’io quelle sensazioni, quasi ne capivo la debolezza. Fu proprio in quel momento che avvertii la vibrazione del cellulare. Era un messaggio di Enrico.

E’ nato. Pesa 3 chili.
Sara sta bene.
Scusa se non ti avevamo ancora detto il nome.
Sorpresa: si chiama come te.

Fuori era buio. Dalle persiane filtrava la luce del faro. Il fascio illuminava a intervalli regolari la parete di fronte al letto. Attaccata al muro c’era una vecchia foto in bianco e nero che ritraeva un uomo seduto in un bar intento a leggere. Da piccolo era affezionato a quell’immagine. L’aveva scattata mio padre durante un viaggio in Francia. Ricordavo di aver passato interi pomeriggi a fissarla. Quell’uomo lì, da solo, mi trasmetteva un senso di libertà. Ora, disteso sul letto, continuavo a guardarla mentre appariva e spariva.

 

* Questo racconto è stato scritto a gennaio 2013 ed è stato selezionato per la prima serata (che si è svolta il 18 febbraio 2014 al locale Le Mura di Roma) della sesta edizione del concorso letterario 8×8 di Oblique studio.

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