Prima di partire per la Russia, familiari e amici mi avevano avvertito: “Fai attenzione al portafoglio!”, “Non girare di notte”, “Ma che vai a fare a Mosca? Meglio San Pietroburgo”. Poi sono partito. Sono rimasto in Russia dodici giorni, non molto ma un tempo sufficiente per scrollarmi di dosso quei pregiudizi e rendermi conto che la realtà era un’altra.

Mosca d’estate è una città piena di luce, con un cielo immenso e i palazzi color pastello che ti infondono il buonumore. E’ una metropoli assordante che nasconde al suo interno strade di paese, dove regna il silenzio e aleggiano i fantasmi della storia. E’ una città pulita, funzionante e le persone che ci vivono sono ‘fredde’ solo in apparenza. I suoi abitanti, come anche quelli di San Pietroburgo, racchiudono due anime: quella europea e moderna, lanciata verso il futuro, e quella contadina, che risale all’Ottocento. Nessuna delle due ha il sopravvento sull’altra, ma convivono in modo armonioso. Questa impressione – assolutamente personale – l’ho riscontrata al ristorante, in taxi, nei negozi, chiedendo informazioni per strada, ma soprattutto visitando le case degli scrittori. Nel reportage del collettivo sparajurij Viaggiatori nel freddo (Exorma) avevo letto che nelle residenze-museo, a scortare i visitatori, c’erano donne in età da pensione che, come lavoro extra o in qualità di volontarie, spendono il loro tempo tra le mura abitate in passato da autori che loro venerano. Proprio in queste donne è più evidente il contrasto di cui accennavo, l’autentica anima russa a confronto con un comportamento standard richiesto per l’occasione (compresa una improbabile pronuncia inglese). C’è poi un altro aspetto che queste donne incarnano: il bisogno di credere dei russi. Non credere per forza in Dio, ma credere in un codice morale, in alcuni valori del passato, in questo caso nelle parole e nei concetti espressi da Cechov, Tolstoj, Gogol, Dostojevskij, per trasferirli nel mondo di oggi. Cechov lo spiega bene nel racconto In viaggio: “La fede è una facoltà intrinseca al popolo russo. La vita russa si presenta come una serie ininterrotta di moti di fede e d’entusiasmo mistico. Se un russo non crede in Dio, questo significa, semplicemente, che crede in qualcos’altro”.
Non è necessario conoscere la vita e le opere di ogni scrittore per provare quest’esperienza. Nella casa di Gogol (a Presnya, zona Est di Mosca) una di queste signore, con un sorriso affabile, mi ha afferrato per le spalle e fatto accomodare, ha chiuso le porte della stanza in cui era esposta la maschera mortuaria dello scrittore, ha abbassato le luci e mi ha indicato lo specchio che avevo di fronte. Con un effetto ottico ho “visto” levitare il corpo di Gogol, mentre la sua voce riecheggiava nella stanza. Nell’oscurità la signora si è avvicinata e mi ha detto quello che poi ho capito essere qualcosa come: “Lo hai visto? Era proprio lui!”. Ho annuito, anche se mi sembrava di essere finito dentro uno dei Racconti di Pietroburgo. Nella casa dove è morto Puskin (a San Pietroburgo, a pochi passi dall’Hermitage) una signora mi ha raccontato dei giochi che lo scrittore aveva ideato per i suoi figli e mentre parlava aveva gli occhi lucidi; quando le ho detto che ero italiano mi ha ringraziato, confidandomi che di italiani da Puskin se ne vedono pochi, preferiscono la casa di Dostojevskij (ed è proprio così). Durante il viaggio ho visitato anche le case di Puskin, Bulgakov e Cechov a Mosca, di Nabokov e Achmatova a San Pietroburgo.
Tornato in Italia, ho continuato a pensare a queste donne, ai loro modi garbati ma fermi di trasmettere – a gesti e a parole – l’amore per una certa tradizione russa che non è morta, ma continua a vivere sotto la superficie.













adoro la letteratura russa, ti invidio per il fatto di aver visitato le case degli scrittori e parlato con quelle donne, mi è piaciuto questo tuo articolo
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Grazie molte!
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L’ha ribloggato su poesiaspontaneae ha commentato:
un articolo molto bello sulle case degli scrittori russi
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