Quella mattina, prima di tentare il suicidio, decise di fare colazione nel caffè dell’hotel. Scelse un tavolo in fondo alla sala e ordinò pane e marmellata di visciole. Dalla cucina uscì una ragazza. Capelli ricci. Occhi verdi. Pelle lattea. Indossava una maglia di cotone bianca con un fiocco nero sulla spalla e una gonna a pois. Da come si muoveva a da certe espressioni del viso che giudicò di inconsapevole sensualità, capì che avrebbe rimandato il suo piano di morte.
La mattina dopo si ripresentò nella sala caffè. Ordinò il pane e la marmellata di visciole e si concentrò sui fogli bianchi. Da quando sua moglie lo aveva abbandonato non era più stato in grado di disegnare, ma ora sentiva che quella ragazza rappresentava un’ultima occasione. Restò a spiarla mentre sparecchiava i tavoli. Un paio d’ore dopo terminò la bozza di un ritratto.
Il terzo giorno disegnò senza sosta. Lo strano bagliore che emanava il viso della ragazza lo stimolava a non fermarsi. Ogni tanto alzava gli occhi e la sorprendeva a sbirciarlo. Avrebbe potuto parlarle, ma non voleva rompere quel legame silenzioso. Le doveva la vita.
Il quarto giorno la porta a vetri del caffè era chiusa e le luci erano spente. Provò a bussare. Comparve una donna corpulenta con una scopa in mano. “Siamo chiusi. La ragazza non è arrivata”. Provò un senso di sconforto. Uscì fuori e si accasciò su una panchina a osservare il mare. Le raffiche di vento lo avevano fatto ingrossare, le onde spumeggiavano contro gli scogli. Restò così finché qualcosa di liscio gli sfiorò la mano. Si voltò di scatto.
– Ciao.
– Ciao.
– Mi sono accorta che avevi finito i fogli così ti ho comprato un album nuovo.
– Grazie.
– A cosa stavi pensando?
– A cose di tanto tempo fa. Ma ora smetto.