di Alessandro Melia
Il fotografo newyorkese Gregory Crewdson ha un talento raro. Le sue immagini ‘senza titolo’ sono caratterizzate da una perfetta immobilità, eppure chi le guarda ha l’impressione che sia successo, o stia per accadere, qualcosa di inquietante, tragico. La realtà in cui si immerge Crewdson è quella della campagna americana, costruita su villette in legno e gente di provincia. La stessa descritta così bene in passato da scrittori quali Raymond Carver e Richard Yates, o dal regista Sam Mendes in American Beauty. Crewdson ci fa percepire le emozioni che provano i soggetti fotografati, la loro angoscia o claustrofobia. Ho provato le stesse sensazioni leggendo il libro ‘Stanno tutti bene tranne me’ (Einaudi) di Luisa Brancaccio. Il merito è anche nei piccoli particolari disseminati qua e là. Nel romanzo di Luisa Brancaccio, che ha le sembianze di una raccolta di racconti, il paesaggio sembra essere quello della campagna americana, ma siamo da qualche parte in Italia. Il primo capitolo, folgorante, è una fotografia di Crewdson. “La casa sembra deserta. Le luci della cucina sono le uniche accese. Nessun rumore. La porta sul giardino è aperta, la zanzariera col telaio di legno sbatte leggermente al leggero vento serale, periodica, regolare. La piscina è immobile, gli insetti galleggiano sulla superficie. Al buio, nel silenzio delle piante, il setter inglese ispeziona le zone umide in cerca di rospi. Nella casa a fianco le luci sono accese, le grandi vetrate sulla facciata mostrano la vita dentro, senza pudore nè decenza. Il ragazzo è nascosto dietro un cespuglio di impatiens, ha un binocolo in mano. Spia”. Composto da un intreccio di storie e personaggi delineati quasi chirurgicamente, il libro di Luisa Brancaccio narra l’orrore che si nasconde dietro il ‘non detto’. La scrittrice seziona una famiglia composta dal branco (padre e tre figli maschi) e da una madre che “dissolve il gruppo. I ragazzi spariscono appena lei entra in una stanza”. La donna combatte la depressione, ma nell’aria aleggia qualcosa di terribile. Ed è lì, nell’incomunicabilità, che si cela l’abominio. Il libro va letto tutto d’un fiato e i colpi di scena possono annichilire. Ma è un libro che si candida ad essere uno dei migliori di quest’anno.