di Alessandro Melia
Nell’età moderna i medici consideravano il ‘mal d’amore’ una malattia grave, che poteva portare a forme incurabili di insonnia, cecità e demenza. Più avanti, agli inizi del Novecento, quando l’inconscio prese il sopravvento e scrittori, pittori e musicisti non facevano altro che scandagliare e dare spazio ai loro tumulti interiori, la diagnosi si trasformò in nevrastenia. I sintomi erano debolezza, ipereccitabilità, dimagrimento, melanconia. I pazienti più gravi venivano spediti in sanatorio per rilassarsi con bagni e lunghe passeggiate all’aria aperta. Oggi di ‘mal d’amore’ si parla in termini di dipendenza affettiva, che a volte può sfociare in disturbi ossessivi, fino ai casi di stalking. L’antropologa statunitense, Helen Fisher, dopo aver condotto lunghi studi, ha spiegato che “l’amore crea una vera e propria dipendenza e quando una relazione finisce, gli innamorati, proprio come i tossicodipendenti, spesso giungono a comportamenti estremi, talvolta degradanti o pericolosi, pur di riconquistare la persona amata”.
Proprio come avvenne per il pittore espressionista Oskar Kokoschka, talmente ossessionato dalla fine della relazione con Alma Mahler da decidere di farsi confezionare una bambola al naturale con le fattezze dell’amata. A ricordare la vicenda è Andrea Camillerinel suo ultimo libro ‘La creatura del desiderio’ (Skira). Per farcela apprezzare di più, Camilleri nel capitolo d’apertura ricorda alcuni esempi di simulacri, come la copia perfetta di Elena (che nemmeno Menelao riconosce quando va a riprendersela a Troia) raccontata da Euripide nella tragicommedia ispirata alla Palinodia del poeta Stesicoro. O come la favola di Pigmalione, che vive con un perfetto femminino in avorio e supplica la dea Venere di animarlo. Ma la bambola di Kokoschka non ha bisogno che parli, perché la sua amata Alma da sempre parla ‘in’ lui. “Le lettere in cui il pittore dà istruzioni alla fabbricante circa questa sua muta compagna– scriverà Mario Praz- contengono le più pazze pagine che mai si siano conosciute in epistolario d’artista”. Ma facciamo un passo indietro. Oskar Kokoschka conobbe Alma Mahler, che aveva alcuni anni più di lui, poco tempo dopo essere rimasta vedova del compositore Gustav Mahler. Era una donna irresistibile, esperta, dotata di grande intelligenza, ma soprattutto magnetizzata dall’amore degli artisti, al quale sapeva stimolare l’inconscio oltre ogni limite. Pretendeva di essere la loro musa ispiratrice. La relazione con Kokoschka durerà circa tre anni. Legati da una passione carnale, Oskar era ossessionato dal corpo di Alma. Lo disegnava di continuo, centinaia di volte, ogni opera era dedicata a lei. Il suo quadro più famoso, ‘La sposa nel vento’, rappresenta Kokoschka e Alma sdraiati in una barca alla deriva in mezzo all’oceano. Lei dorme tranquilla, mentre lui è agitato, sospeso rigidamente accanto a lei. Proprio come nella vita. Sarà il poeta George Trakl a dare il nome al quadro mentre compone la lirica intitolata ‘La notte’: “Oltre nere scogliere / Precipita ebbra di morte / L’ardente sposa nel vento”. Kokoschka le scriverà oltre quattrocento lettere, chiedendole di sposarlo. “Oskar pretende che nel crogiolo della loro passione avvenga una sorta di rinascita, di rigenerazione in seguito alla quale due esseri umani abbiano cuore e cervello in comune, nutrendo così gli stessi pensieri e gli stessi sentimenti” racconta Camilleri. Kokoschka è assalito dalla gelosia, anche del marito defunto. Non vuole che Alma porti in casa il busto di Gustav Mahler, ma quando arriva una cassetta e Oskar si ritrova tra le mani la maschera mortuaria di Mahler, la distrugge. Per tutta risposta Alma si reca in una clinica di Vienna e abortisce il loro figlio. Fu l’inizio della fine della loro relazione.
Nella biografia ‘La mia vita’ (Castelvecchi), Alma Mahler dirà: “I tre anni con lui furono tutta una lotta amorosa selvaggia e violenta. Prima non avevo mai gustato tanti spasimi, tanto inferno, tanto paradiso”. Camilleri richiama un modo di dire popolare per indicare questa situazione passionale: “entrare nel sangue”. Alma era entrata nel sangue di Kokoschka come una potente droga. Ma per Alma è normale che sia così, convinta che colui che accetta le torture della sua passione non sia altro che vittima di se stesso. Ha un proverbio preferito: “Il colpevole non è l’assassino, ma l’assassinato”, che diventerà il titolo di un romanzo di Franz Werfel, suo terzo marito dopo Gustav Mahler e l’architetto Walter Gropius. Il libro di Camilleri, quindi, ci permette di ragionare sulle relazioni amorose che possono trasformarsi in violenze passionali, di cui oggi le cronache sono piene. Dietro ogni storia si nascondono accordi interni tra i due amanti di cui il più delle volte non siamo a conoscenza. Franz Kafka, nelle lettere indirizzate a Milena Jesenka, “una giovane ceca che conduceva una vita triste accanto a un marito torturatore” (racconta Pietro Citati) le scrive che la sola cosa di cui lei si fosse innamorata era l’angoscia, la sua parte migliore. Sorprende che Kokoschka, proprio come Kafka, usi l’immagine del ‘coltello’. Per Kafka, Milena è “il coltello col quale frugo dentro me stesso”. Kokoschka, invece, vorrebbe usarlo su Alma “per raschiare via dalla mente le idee malevole che altri hanno di me”. Ma torniamo alla bambola. Kokoschka la commissiona a un’artigiana di Monaco di Baviera, Hermine Moss. Per quasi un anno le invierà disegni e istruzioni su come realizzarla. Dal colore della parrucca fino alle caviglie, tutto deve essere uguale ad Alma. Anche le parti intime “devono essere voluttuose, ricoperte di peli, altrimenti non sarà una donna, ma un mostro“. Quando la bambola arriva Kokoschka non la tiene nascosta, ma la esibisce, la veste con indumenti intimi facendosi aiutare da Hulda, la cameriera. Non sappiamo quanto tempo Kokoschka trascorrerà in compagnia della finta Alma, né come si svolsero i fatti “che si conclusero drammaticamente con la sua uccisione“. La bambola verrà ritrovata in giardino, decapitata e impregnata di vino rosso.