Come un sismografo Paolo Giordano registra le scosse di un amore instabile

di Alessandro Melia

Vita reale o immaginazione. Autobiografismo o creatività. Due modi diversi di intendere l’arte, e con essa la scrittura. Per accorgersene basta entrare in una libreria qualsiasi e scorrere le opere letterarie. Troveremo chi si è dedicato a raccontare la sua vita, lavorando minuziosamente sui particolari, come Paul Auster o Philip Roth, e chi le vite degli altri, come Emanuele Carrere. Ma ci imbatteremo anche in quegli autori che hanno trovato nell’immaginazione il grimaldello per dare forma a passioni e desideri, o superare conflitti e turbamenti. Penso a Madame Bovary di Gustave Flaubert, a La Metamorfosi di Franz Kafka, a Il deserto dei tartari di Dino Buzzati, a Il nuotatore di John Cheever. Questi scrittori hanno usato la loro immaginazione per creare nuovi mondi, aprendo squarci di colore nella nostra mente e consegnandoci, di fatto, le chiavi per rendere noi stessi gli artisti delle nostre vite. Nella dicotomia vita reale-immaginazione, propendo per la seconda. Di uno scrittore mi attrae più la sua capacità di immaginazione, che consente soluzioni infinite, rispetto alla cronaca, per quanto straordinaria, di una singola esperienza. A volte, però, può succedere che il confine tra i due aspetti sia appena accennato, suggerito. Non vita reale, ma non ancora immaginazione. Solo rielaborazione. Sottili strati di esperienza mescolati e riproposti in una forma diversa. Mi viene in mente Chesil Beach di Ian McEwan. Ma lo scrittore che decide di imboccare questa strada sa che il rischio autocompiacimento o banalità è sempre dietro l’angolo.

Paolo Giordano fa parte di quelli scrittori che crede nella rielaborazione. “L’immaginazione non è necessaria. Devi rielaborare la tua vita su tanti livelli e di continuo” ha detto presentando il suo terzo romanzo, ‘Il nero e l’argento’ (Einaudi), che prende spunto da un’esperienza vissuta. Giordano narra la storia di una coppia giovane, con un figlio piccolo, che a fatica galleggia tra le intemperie della vita quotidiana, spaventata dall’idea di non farcela ad affrontare gli ostacoli di tutti i giorni. Entrambi hanno paura di scoprirsi soli e vulnerabili. Il loro collante è la Signora A., una vedova dal carattere forte, che farà da tata al figlio, ma soprattutto a loro stessi. “Nella nostra vita lei era un elemento fisso, un riparo, un albero antico dal tronco così largo da non riuscire a circondarlo con tre paia di braccia”. Ma la Signora A, ribattezzata Babette come nel racconto di Karen Blixen, morirà in brevissimo tempo stroncata da un tumore, gettando la coppia nello sconforto. “Io e la mia compagna abbiamo avuto una persona che ci ha aiutati in anni cruciali per la nostra trasformazione– ha raccontato Giordano- Quando venivamo presi da un loop di ansia lei tagliava il nodo con nettezza. E quando si è ammalata è stato come perdere un genitore condiviso”. Autobiografismo puro quindi? No, perchè Giordano rielabora la vita reale e si trasforma (fortunatamente per il lettore) in un sismografo delle azioni, dei dialoghi e dei sentimenti della coppia e del figlio Emanuele. Nel farlo lo scrittore torinese usa un linguaggio secco, diretto, chirurgico. La sensazione (piacevole) è quella di leggere un racconto breve, ogni parola in eccesso è stata rimossa. E questo è un pregio.

Seguiamo così il percorso di questa coppia che cerca di restare unita di fronte all’abbandono, si isola, litiga, smette di fare sesso. “Anche una coppia giovane può ammalarsi, di insicurezza, di ripetizione, di solitudine. Sdraiati a distanza di sicurezza i nostri corpi somigliavano a blocchi inespugnabili di marmo”. Vivono in anticipo, sperando che arrivi qualcosa a liberarli. E hanno umori diversi. Quello di lui è nero, il colore della malinconia, un “liquido vischioso, un fiotto di catrame che si irradia per il mio sistema linfatico, otturandolo”. L’umore di Nora, invece, è“argento fuso, il più bianco tra i metalli, il riflettente più spietato. La sua vitalità è inesauribile, neppure il lutto più grave sarebbe in grado di ostacolarla”. La loro unione si fonda su questa compensazione. “Tutta la vitalità che manca al protagonista– ha spiegato Giordano- Nora la riempie con un eccesso. I travasi di vitalità tengono viva una coppia molto a lungo”. Così, mentre la Signora A. si ammala sempre di più, allontanandosi e spalancando un vuoto (“La Signora A. era la sola testimone dell’impresa che compivamo giorno dopo giorno, la sola testimone del legame che ci univa. Senza il suo sguardo ci sentivamo in pericolo”), lui e Nora si agitano per restare in superficie, non rendendosi conto di avere ormai acquisito quella sicurezza necessaria per prendere in mano la loro vita. E’ questo il punto focale della rielaborazione di Giordano, capace di scendere in profondità con maturità e dare forma, e voce, ai silenzi e ai gesti che viviamo tutti noi ogni giorno.

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